PRATICA E DISTACCO 1 PARTE
Attualmente lo yoga è utilizzato come una pratica fisica, viene riconosciuto ampiamente il benessere che può portare al corpo, rendendolo tonico, elastico, bello. Infatti sempre più spesso si resta affascinati dalle asana più disparate, che sembrano un obiettivo quasi impossibile da raggiungere. Così ci si allena sempre più spesso per raggiungere o avvicinarsi a modelli strabilianti, e può succedere anche di fare danni pur di arrivare a tale scopo. Nel frattempo, nella maggior parte dei casi, strada facendo ci si rende conto che accade qualcos’altro oltre alla percezione di benessere fisico. Le asana, il respiro, la concentrazione, anche a nostra insaputa, lavorano su piani profondi e sconosciuti, facendo emergere sensazioni ed esigenze sempre più inaspettate.
Una mappa per navigare
Credo fermamente che lo yoga sia un vaso comunicante con una dimensione profonda del nostro essere, la potenza di questo strumento è tanto forte quanto lo è la consapevolezza mentre si pratica. Nella mia esperienza sono infinitamente grata di aver conosciuto e applicato, ogni giorno negli ultimi dieci anni, le tecniche del Kriya yoga. È stato come cercare un luogo e avere tra le mani la mappa per arrivare a destinazione, linee guida affinché la coscienza fosse sempre più risvegliata. All’inizio quella mappa universale può sembrare semplicemente piena di indicazioni e niente di più. Poi, con il tempo e la pratica, cominciano ad affiorare ricordi di un sapere universale, che ci appartiene da sempre.
Impegno e volontà
Ovviamente se vogliamo raggiungere qualcosa dobbiamo utilizzare la nostra forza di volontà. Come diceva il mio maestro Paramahansa Yogananda, “Più forte è la volontà, più forte è l’energia”. La pratica è la prima forma di trasformazione che viene utilizzata nello yoga. Il nostro livello di coscienza ne determina l’efficacia e nello stesso tempo la pratica può modificare il nostro livello di coscienza. Patanjali nel 1° capitolo degli Yoga Sutra ci spiega l’importanza della pratica e del distacco: “la pratica intensa, lo studio del sé e la devozione verso il Signore, costituiscono il Kriya Yoga.” La pratica costante e il distacco sono prescritti come i mezzi dello yoga. Sono definiti due poli magnetici, per neutralizzare l’identificazione con le fluttuazioni mentali della coscienza. In questo articolo vi parlerò del primo strumento: la PRATICA.
Abhyasa
Abhyasa vuol dire pratica costante. Lo sforzo di restare in un livello di coscienza superiore si manifesta attraverso la pratica di diverse tecniche, asana, pranayama, mudra, meditazione e mantra. Ovviamente questa pratica diventa stabile se viene esercitata per molto tempo. Ecco perché è fondamentale la forza di volontà affinché la pratica diventi costante ogni giorno. Abhyasa si divide in tre punti fondamentali: Tapas, Svadhyaya e Ishvara Pranidhana.
Tapas
Tapas vuol dire pratica intensa. Ciò non si riferisce a pratiche specifiche, ma al modo di praticare. In modo più incisivo significa “raddrizzare con il fuoco”. Praticare costantemente e intensamente per superare i propri limiti. Questo lo viviamo spesso quando pratichiamo con passione, lasciando che il calore del movimento, associato al respiro e alla concentrazione, sfaldino quel muro di rigidità fisica e mentale creato negli anni. Quante volte ho assistito a pianti liberatori durante le mie classi. Come squarciare un velo che da tempo opprimeva quella natura gioiosa, che finalmente si sente libera di esprimersi.
Svadhyaya
Svadhyaya vuol dire lo studio del sé. Letteralmente vuol dire utilizzare le nostre facoltà superiori, come l’intelletto, con lo scopo di conoscerci. Quindi attraverso lo studio di testi sacri, seguendo gli studi di maestri illuminati, possiamo risvegliare antiche conoscenze. Ad esempio, leggendo testi come Autobiografia di uno Yogi, la Scienza Sacra, la Bhagavad Gita, la Bibbia, possiamo acquisire conoscenze spirituali che potrebbero diventare nutrimento per la nostra mente. Anche la ripetizione dei mantra e l’osservazione dei movimenti della psiche ci possono condurre da un’esperienza soggettiva ad una oggettiva. Questo ci può aiutare a osservare la differenza tra la personalità e il Sé, e farci percepire la presenza del testimone, colui che osserva.
Ishvara Pranidhana
Ishvara Pranidhana vuol dire devozione a Dio, abbandono all’Essere Supremo. Quindi coltivare un amore incondizionato, vedere Dio ovunque. In ogni esser umano, in ogni creatura animata e inanimata. Ci sono voluti molti anni per applicare Ishvara P., e non è semplice perché i bisogni dell’ego sono sempre in prima linea. Poi ho scoperto che è davvero liberatorio lasciarsi andare nella vibrazione del flusso divino. Diventi come un fiume che viene trasportato dalla corrente, non ti chiedi dove sfocerai, in quale mare, in quale lago. Ovunque andrai sei consapevole che Dio farà sempre il meglio per te. Questo per me vuol dire serenità. Qualunque scelta faccio chiedo sempre al Bene Supremo di indicarmi la strada ed ogni volta sento una sensazione di leggerezza, di libertà, di sicurezza.
Queste conoscenze condivise con noi da un essere illuminato come Patanjali, restano un bene prezioso per l’umanità. Oggi ho condiviso con voi l’importanza della pratica costante e con devozione, come prima tecnica rivolta al cambiamento e alla conoscenza di noi stessi. Nel prossimo articolo vi parlerò del distacco, fondamentale e complementare alla pratica.
Pratica con noi Hatha Yoga, Vinyasa, Pranayama, Meditazione, Yoga in gravidanza, Yoga personal. Il nostro Calendario.
A cura di Mina Formisano
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[…] ad approfondire il significato del Pranayama, visto come strumento per dirigere e stimolare l’energia. Inoltre parleremo di un altro strumento […]
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